MEGLIO TARDI CHE MAI

(ovvero, chi va piano va sano e va lontano finché non si accorge di quanto è rimasto indietro)
Lo so, lo so, ti sono mancata. Dopo due mesi in cui non ho scritto nulla, di sicuro ti starai chiedendo che fine ho fatto.
Ho interrotto le comunicazioni a maggio, quando il mio anno di servizio civile stava volgendo al termine. Nonostante il mio silenzio, di cose ne sono successe. Intanto, sorpresa delle sorprese, ho finito il periodo alla Mediateca. Per fortuna qualche giorno prima sono entrata a far parte di una squadra di traduttori per un bel progetto interessante, quindi il giorno dopo l’ultimo giorno avevo già da lavorare e non me ne sono rimasta in casa seduta sul divano in depressione.
Nello stesso periodo sono stata tre giorni al Salone del Libro di Torino. Che figata (si può dire? Lo posso dire?). Ho finalmente incontrato di persona delle colleghe (e uno stratosferico collega) con cui avevo seguito un corso di traduzione agli albori della pandemia. Durante quell’incredibile avventura ci siamo fatti forza a vicenda, abbiamo pubblicato un libro in traduzione e siamo diventati amici, il tutto senza mai esserci visti di persona. Così, quando dopo più di un anno ci siamo ritrovati a Torino, è stato come rivedere gente che conoscevo da un secolo.
Al Salone ho conosciuto anche nuovi colleghi e colleghe, persone toste i cui nomi comparivano nei libri in vendita nei vari stand. Mi ha fatto un bell’effetto passeggiare per i padiglioni, leggere i loro nomi sui frontespizi dei libri e poi raggiungerli di persona per un caffè.
In questi mesi di silenzio ho tradotto, ho letto molto, più tardi ti parlerò di alcune letture, e dal primo di agosto ho ufficialmente un contratto part-time con una cooperativa come “addetta ai servizi di biblioteca”.
Ho avuto fortuna perché svolgerò tutte le ore nella stessa biblioteca, senza dover girare come una matta e rimanere imbottigliata nel traffico di Bologna. È più piccola rispetto alla Mediateca, ma non per questo meno importante. È una biblioteca di quartiere molto presente nella vita della comunità; sono sicura che sarà una bella sfida.
Ovviamente, essendo ritornata tra gli scaffali quasi tutti i giorni, ho ricominciato a prendere vagonate di libri in prestito. Nel momento in cui scrivo ho sette libri di biblioteche varie sulla scrivania, di cui cinque per ricerche di lavoro.
Gli altri due sono Il lavoro non ti ama di Sarah Jaffe, traduzione di Rocco Fischetti, edito minimum fax e Consigli per sopravvivere in natura di Margaret Atwood, traduzione di Gaja Cenciarelli, Racconti edizioni.
Il primo è un saggio che si può riassumere nel sottotitolo: o di come la devozione per il nostro lavoro ci rende esausti, sfruttati e soli. Ne aspettavo l’uscita da un po’, perché sono sicura avrà delle ottime lezioni da darmi.
Al momento sto leggendo la prima parte, le testimonianze sono tutte di lavoratori americani, ma i princìpi di fondo sono applicabili a ogni parte del globo. Quella che mi interessa più di tutti è la parte che riprende il detto “Fa’ ciò che ami e non lavorerai nemmeno un giorno in vita tua”. Beh, è così che si viene sfruttati, no? Mi è capitato molte volte di fare favori a gente che mi ha incastrata, più che altro conoscenti o appunto persone che pensavano di fare le furbe, di tradurre del materiale per loro o tenere una lezione ai loro figli senza ovviamente essere pagata, perché tanto mi piace e quindi lo faccio volentieri. All’inizio ci cascavo spesso, ora per fortuna ho imparato a riconoscerle e riesco a svicolare. Anche con gli amici e i famigliari faccio in modo che siano episodi sporadici, perché è comunque tempo che non dedico al mio lavoro o agli affari miei. Mi fermo qui, ci sarebbe tantissimo di cui discutere, ma non è mia intenzione in questo momento.
Il libro di Atwood, invece, è una raccolta di racconti che si prospetta cattivella e che cercherò di iniziare a breve. Non nascondo che le aspettative sono molto alte, sia perché conosco e apprezzo lo stile dell’autrice, sia perché ho seguito alcune lezioni con la traduttrice. Insomma, mi aspetto grandi cose.
Ho di recente scoperto la scrittura di Amélie Nothomb e ne sono rimasta molto contenta. Nella biblioteca dove lavoro ci sono diversi suoi libri, è questione di settimane prima che cominci a portarmeli a casa.
Altri due libri da consigliare, sempre di autrici, sono La casa di marzapane di Jennifer Egan, traduzione di Gianni Pannofino, edito da Mondadori e L’archivio dei sogni spezzati di Elizabeth Buchan, traduzione di Patrizia Spinato, edito da Nord.
Il primo racconta le storie intrecciate di vari personaggi, nel passato e nel presente, un presente molto più tecnologico ma parecchio verosimile. C’è un sottofondo inquietante in tutta la lettura, una sensazione agrodolce di disagio anche quando le cose sembrano andare per il verso giusto. Il tema di fondo è quanto permettere alla tecnologia di permeare le nostre vite. In alcune storie è presente in ogni aspetto, con scene che ricordano la serie Black Mirror, mentre in altre storie i personaggi hanno scelto di non vivere immersi nella tecnologia, ma di liberarsene, e sembrano stare meglio.
Il secondo libro, devo ammetterlo, mi ha catturata soprattutto per le sue descrizioni di Roma. Non è scontato che uno scrittore straniero riesca a cogliere l’essenza dell’Italia senza stereotiparla. Mi sono sentita molto orgogliosa. Anche in questo caso abbiamo una storia dolceamara, un po’ d’amore e un po’ di mistero. Il presente parla di Lottie, archivista inglese trasferitasi appunto a Roma, che legge il diario di una donna come lei, inglese a Roma, che ha vissuto nel periodo turbolento culminato con l’omicidio di Aldo Moro. Poco per volta, Lottie scopre una rete di intrighi che si è trascinata fino a lei, cercando di dare risposte al passato dell’altra donna, ma soprattutto al suo presente.
Ovviamente, oltre a quelli presi in prestito, ho ancora un sacco di arretrati di libri che ho comprato o che mi sono stati regalati e che poverini mi guardano dagli scaffali chiedendosi perché mai li faccio sentire di serie B. Potrei impormi di parlarti di uno di questi nell’articolo del prossimo mese (e fu così che non si fece più sentire fino a Natale).
Per ora è tutto, prometto di riaggiornarti presto.
Alla prossima e… Avanti tutta!