LUNATICHERIE D’INVERNO

(ovvero, cronaca stanca dei mesi freddi)
Interrompiamo le solite trasmissioni libresche e approfittiamo di questo spazio per raccontare i disagi invernali. Per carità, è una stagione necessaria, ha il suo fascino, però quest’anno mi sta davvero tirando a cemento.
Sarà che gli ultimi due anni l’ho passato più che altro in casa, quindi forse non ci sono più tanto abituata, ma devo dirlo: l’inverno mi spossa. L’inverno mi stufa, l’inverno mi sfalda. Prosciuga la mia voglia di fare e mi riduce a un ghiro letargico che vorrebbe starsene soltanto sotto la sua copertina calda.
Proprio il ricordo dei due inverni passati mi spinge a dire che sì, in effetti uscire un po’ e vedere gente potrebbe farmi bene. Solo che poi c’è freddo, devo vestirmi a strati ed essere pronta per qualsiasi evenienza. Due indumenti di lana sono ottimali all’esterno, esagerati all’interno. E così passo le giornate in una costante oscillazione umorale, maledicendomi mentalmente per aver accettato di uscire tre sere a settimana, per poi essere contenta di averlo fatto, divertirmi un sacco e dimenticarmi per un momento che non volevo uscire perché fa freddo.
In tutto questo, poi, mi sono auto proposta una sfida e ho cominciato ad andare in palestra di mattina, prima del turno in biblioteca. Da gennaio c’è un nuovo corso che comincia alle 7:10 (sì, del mattino, esatto) e, a parte l’iniziale trauma della sveglia alle 6 a cui proprio non mi abituo, l’allenamento fila via liscio e la giornata parte con un brio in più.
La nuova abitudine mi ha un po’ aiutata ad affrontare le mattine invernali. Soprattutto all’inizio arrivavo in palestra che era ancora buio, ma ne uscivo con la luce e mi sentivo molto soddisfatta. Solo un mattino ho avuto una piccola disavventura. Stavo sfrecciando con un catorcio di bicicletta, perché la mia nuova aveva una ruota bucata, e ho preso una curva stretta sulla strada ghiacciata. Sono planata a pelle d’orso sull’asfalto gelato. Per fortuna ero come mio solito vestita a strati, quindi ho soltanto rovinato i guanti e graffiato i jeans, ma almeno non sono arrivata in palestra in un bagno di sangue. I lividi sono usciti dopo la doccia calda, i segni degli urti contro parti di bici e dell’abbraccio non richiesto col cemento.
In biblioteca continuo a trovarmi bene, ormai mancano poco più di tre mesi alla fine del servizio civile. Il mio giorno preferito è il giovedì, quando arrivano i libri provenienti dalle altre biblioteche. Mi diverto tantissimo a sfogliare i titoli che sono stati richiesti, a leggere i nomi degli utenti abituali, a volte riconoscendo le loro abitudini di lettura, a volte stupendomi. Sono sicura che per un po’ rallegro la giornata anche dell’addetto alla consegna libri, perché ogni volta che lo vedo gli faccio una gran festa. Ormai lo sa che sono la pazza che si entusiasma.
A proposito di libri (riprendiamo le solite trasmissioni libresche), nonostante la palestra del mattino mi tolga tempo per leggere, sto riuscendo a ritagliarmi altri momenti e ho qualche altra lettura di cui parlarti.
Dopo aver letto i giapponesissimi Finché il caffè è caldo e Basta un caffè per essere felici, sono rimasta in zona e ho letto Quel che affidiamo al vento di Laura Imai Messina. L’autrice vive in Giappone da anni, ha ormai una famiglia lì, e in questo libro ci parla di un tema delicato. La vita dopo i disastri naturali, di chi è sopravvissuto e ha perso qualcuno. Il disastro di cui si parla qui è lo tsunami del 2011, la vita è quella di Yui, che ha perso la madre e la figlia. È un libro struggente, triste e poetico, pieno di speranza e sensibilità.
Ti riporto uno dei miei passaggi preferiti, perché credo dia un’idea della poesia del testo: “Quando ritrovava su quei volti amati cedimento e stanchezza, li accarezzava persino con più piacere. Yui adorava i volti affaticati e sbattuti, ma quelli a cui lo diceva o non le credevano o la prendevano come una falsa lusinga. […] C’era persino chi si infastidiva. Eppure Yui era sincera, i volti stanchi erano i più affascinanti per lei. Talvolta si domandava se non fosse stato anche grazie agli incontri a Shibuya alle quattro della mattina, al volto stravolto dal sonno, che si era innamorata così di Takeshi.”
Tutt’altro genere, ma ugualmente apprezzato, è stato Il maialino di Natale della mia solita cara J. K. Rowling. E come poteva mancare? Ero già rimasta entusiasta per L’Ickabog, ma con questo nuovo racconto di Natale ho confermato il mio amore incondizionato per questa scrittrice. Ogni volta mi stupisco della sua capacità di creare mondi per bambini (tra tante virgolette) che hanno un significato e un messaggio così profondi.
Il protagonista del romanzo, Jack, sta vivendo un momento complicato. I suoi genitori si sono separati e la mamma ha trovato un altro uomo, così Jack è costretto a trasferirsi con lei. Però la nuova sorella non è per niente contenta di averlo intorno e durante un litigio in macchina lancia fuori dal finestrino il pupazzo preferito di Jack, il maialino Lino. Jack è disperato, perché nessuno potrai mai rimpiazzare il suo Lino, perciò alla vigilia di Natale decide di andare a cercarlo, accompagnato da un pupazzo molto simile al suo maialino. Insieme entreranno nella Terra dei Perduti, attraversando Fuori Posto, Usa e Getta e altri luoghi incredibili, pieni di Cose perse, dimenticate, un tempo amate, rimpiante ma mai più trovate. E quindi, Lino tornerà a casa?
Che dire, per me Rowling ha fatto centro un’altra volta, e sì che quando leggo una sua nuova creazione parto sempre stracarica di aspettative, sarebbe facile deluderle. Ancora non mi ha delusa. Forse solo un po’ con Il seggio vacante, ma non posso dirlo con certezza perché l’ho letto diversi anni fa e non me lo ricordo più di tanto.
Ti ringrazio se nonostante il titolo alla bonjour tristesse hai letto fino qui, lo apprezzo tanto.
Alla prossima e… Avanti tutta!
Sul Giappone ti consiglio vivamente “Autostop con Buddha” di Will Ferguson, pubblicato da Feltrinelli.
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Ciao Ila, grazie! L’ho letto l’anno scorso e mi è piaciuto molto. Volevo continuare con qualche altro autore giapponese, perché sono rimasta davvero sorpresa dall’unico che ho letto (Kawaguchi). C’è un libro di Murakami che gira per casa, prima o poi lo agguanterò.
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Ciao GZ, sul Giappone mi è venuto in mente un altro titolo, un po’ di nicchia: “La bambola e il robottone. Culture pop nel Giappone Contemporaneo” a cura di Alessandro Gomarasca. Se preferisci la narrativa c’è la Banana Yoshimoto, di cui ho letto vari libri. Murakami ce l’ho anche io nella to read list!
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Ottimo suggerimento! Lo inserisco di sicuro in lista, mi incuriosisce molto.
È vero, c’è anche Banana Yoshimoto da aggiungere.
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Devo dire che l’accostamento inverno – stufa è comunque azzeccatissimo! 🙂
Mi hai fatto venire la voglia di cercare il libro della Rowling
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Inverno-stufa-bevande calde, assolutamente sì!
Eh, secondo me Il Maialino di Natale merita.
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Ciao Giulia, sono tornata.
Allora, quello che dici dell’inverno, per me vale per l’estate. D’inverno sono al massimo dell’attività e faccio un miliardo di cose, d’estate sudo e se faccio qualcosa è perché me lo sono imposto.
Sei brava ad andare in palestra alle 7 di mattina, dico sul serio. Mi ricorda un amico mio e di mio fratello che faceva agonismo in palestra, e a volte si allenavano di mattina prestissimo. In bici mi piacerebbe andarci, ma qui c’è un sacco di gente che gira con monopattini elettrici.
Come stai adesso? Anch’io a volte prendo dei bei lividi, sbattendo e cadendo -_- il ghiaccio è pericoloso.
Bello trasmissioni libresche…
I nomi del primo libro mi hanno evocato in mente una versione anime del corto Paperman.
Vedo che tutti parlano bene del nuovo libro della Rowling. Non mi stupisce però che tu, come tanti altri, siate rimasti delusi dal Seggio Vacante (che mi incuriosisce)… penso di intuire il perché.
Io non ho avuto molto tempo di leggere libri, comunque sto riguardando una serie Disney che amavo alle medie… Kim Possible! è fantastica anche adesso, anzi meglio… in un certo senso è invecchiata benissimo, pur essendo ambientata negli anni 2000. La conosci?
Per il resto, sono impegnata con il lavoro occasionale in inglese e, con il corso di tecnico grafico …. e il tedesco.
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Ciao Fiore,
sono contenta che tu riesca a essere produttiva in inverno. È una novità il tedesco? Hai cominciato un corso?
Io sto bene, di lividi me ne faccio di continuo, quindi ormai non ci faccio più tanto caso.
Conosco la serie di cui parli ma non l’ho mai seguita molto. È una bella soddisfazione riguardare qualcosa dopo tanto tempo e notare che ci appassiona ancora.
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Ciao Giulia ^_^
grazie! Sì, ho iniziato a studiare tedesco sia per l’utile che per il dilettevole. Lo faccio alla Casa dello Studente locale, abbiamo chiesto alla prof se può proseguire oltre aprile con le lezioni perché ci troviamo davvero bene.
Capisco… io idem con la gola secca xD
Sì, a volte comunque provo nostalgia per la metà/fine degli anni 2000.
Oggi al corso di tecnico grafico in pausa abbiamo parlato di narrativa, e sono usciti i nomi di Ken Follett (I Pilastri della Terra), Zafon (che ho letto in spagnolo e ho adorato), nonché i romanzi della Bronte (non so se le cose così rosa facciano per me) e anche Isabel Allende… tu li hai letti questi autori?
Dato che ci sono, hai visto Encanto? Io appena è uscito l’ho visto subito, ci penso ogni giorno a quel film (anche se non è tra i miei preferiti, mi ha colpito). Tra l’altro non so se ti ho mai parlato di Garcia Marquez e dei suoi romanzi, ne avevo letto uno breve sulla schiavitù ai tempi dell’Inquisizione Spagnola. Molto pesante ma anche d’effetto. So che Encanto è ispirato a 100 anni di solitudine, e so anche che una mia compagna di classe del liceo era andata al cinema a vedere L’amore ai tempi del colera.
P.s: ma anche tu usi la suite adobe?
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Ciao Fiore,
scusami per il ritardo della risposta.
Ti faccio i miei complimenti per aver deciso di studiare tedesco e sono contenta che ti stia piacendo.
Ho letto alcuni libri degli autori che hai citato, sono scrittori con stili diversi che narrano storie diverse. Prova a dare un’occasione alle sorelle Brontë.
Ancora non ho visto Encanto, ma prometto che entro l’anno lo guardo!
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